Dal mio blog
Costringere o convincere?

Esattamente un anno fa un interrogativo rilanciato da Liberation suscitò ampio dibattito in Francia e più in generale  in Europa. Per salvare il pianeta bisogna costringere o convincere l’opinione pubblica? Eravamo ancora molto lontani dalla narrazione emergenziale del Covid-19 e al centro della scena in quel mese di aprile c’erano i temi ambientali e quel climate change incarnato da Greta Thunberg che in Francia deragliò con la mobilitazione dei gilet gialli. Nello scacchiere digitale e reale la partita vedeva contrapposte misure coercitive contro campagne di consapevolezza. Con lo spettro della “dittatura verde” richiamata dai primi gilet gialli, la cui protesta partì originariamente proprio dal rincaro dei prezzi del carburante deciso dal governo francese come risposta alla crisi ambientale.

Costringere o convincere, questo è il dilemma. Traslando dall’ambiente alle restrizioni per il lockdown e all’imminente fase 2, come possiamo declinare questo dualismo? Se da un lato abbiamo l’elemento della costrizione, dall’altro lato abbiamo quello dell’accompagnamento verso la consapevolezza. Quella stessa consapevolezza citata proprio oggi dalla virologa Ilaria Capua sul Corriere della Sera e che fa rima con senso di responsabilità, collettività, bene comune nel ridefinire abitudini perse e da riscrivere.

Convincere o costringere. Anche la scienza se lo chiede e ha iniziato a raccontare in modo più efficace le proprie ricerche, evidenze, analisi. Un modo per accompagnare il cittadino alla comprensione dei fatti. Così è avvenuto con un video promosso dal Dipartimento della Salute dell’Ohio, che ha deciso di spiegare il distanziamento sociale per contrastare il Covid-19. Un video semplice, efficace, immediato. Una sfilza di trappole per topi posizionate molto ravvicinate tra loro e una serie di palline da ping pong. Un effetto dirompente quando anche una sola delle palline entra in contatto con le altre. In questo modo la comunicazione scientifica adotta nuove tecniche visive coinvolgenti.

D’altronde siamo alle prese con la nuova generazione di scienziati storyteller: con questa definizione sono stati descritti sul Guardian da Nick Enfield, docente di scienze umane all’Università di Sydney. «Il nostro lavoro è trovare la verità, ma la scienza non può esistere senza narrazioni. Ecco perché dobbiamo anche essere narratori. La domanda non è se usare rete e social media, ma come dovremmo adottare al meglio queste piattaforme». Una sfida avvincente per quel mondo che dobbiamo provare a ricostruire insieme.

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